Impazienza. #HydeSide

Pubblicato: 2020-10-07 in PsycoRevolution_Me
You don’t know anything about me.

“Intrappolata” in casa da troppo tempo porto avanti la lista della spesa delle cose da fare e che la società si aspetta da me:

  • Fare la donna di casa
  • Avere figli
  • Amare mio marito
  • Prendermi cura di mio marito
  • Fare ricerca
  • Trovare i fondi per il mio prossimo lavoro
  • Essere umile
  • Non urlare
  • Non parlare troppo
  • Non assumere un comportamento troppo “maschile” o poco degno
  • Vestirmi bene, da donna
  • Dimagrire
  • Fare palestra
  • Imparare a stare su una moto senza sembrare una femminuccia
  • Essere paziente
  • Non pretendere
  • Sapere le cose senza chiedere
  • Avere opinioni ma non esprimerle
  • Non uscire con soli uomini
  • Gestire le proprie emozioni e sbalzi d’umore
  • Non piangere o sfuriare come una ragazzina col ciclo

È solo una minima parte delle cose che mi frullano in testa, in una macedonia psicologica che riesco a malapena ad elaborare. Somatizzo, e la psoriasi fa festa. Prendo gli integratori di omega3 e vitamina D3, faccio le lampade e va un po’ meglio. Vado in palestra e almeno mi concentro sullo sforzo e sul sudore, così la mia mente si libera e non pensa alla mia miserabile situazione per almeno 3 ore a settimana. Che magnifico testo per una canzone dei Baustelle.

Ma poi torno a casa, in 30 m2 a cercare di realizzarmi professionalmente come ricercatrice. Ricercatrice di che? Di guai, di sfide insuperabili, di incertezze. Da sola, senza colleghi, senza quel contatto umano che ti permette di dialogare e condividere il peso della vita quotidiana. Un caffè, un fare compagnia durante la pausa sigaretta, un pranzo in cui si parla di fantacalcio. Mancano.

Gli unici punti che la società dovrebbe aspettarsi da me sono

  • Essere ed esprimere me stessa con libertà
  • Fare con tranquillità e senza giudizi ciò che mi rende felice

Sognare una famiglia non da mulino bianco, e fuori dalle classificazioni è così difficile?

Sei un maschiaccio, sei una con le palle, avercene di donne così, ma Giacu Fumna? E via così con le frasi di rito e i commenti sulle mogli lamentose a casa e i maschioni in giro in moto o viceversa. Ma chi cucina a casa? Ma fa Giacu le pulizie? Ma ma ma…sticazzi. Non mi sono mai posta il problema su chi dovesse fare cosa. Anzi si. Tutti fanno tutto, o quasi, in base a cosa si è capaci di fare. Io sono brava ad organizzare cose, giacomo sui motori. Il resto lo facciamo entrambi per il semplice fatto che sappiamo badare a noi stessi.

Si, vi capisco, sento anche io quella pesantezza del lamentino che sta a casa e che si lamenta che non si passa tanto tempo insieme, eppure, guarda un po’ quando ha bisogno lui del tempo per se io non mi lamento o non glielo faccio pesare. Pretendo la stessa cosa dal verso opposto. Sono stanca di dover giustificare ogni nostra scelta, sono stanca di raccontare che si, ogni tanto volano gli insulti, ma ci rispettiamo a vicenda e ci concediamo i nostri spazi. Sono stanca di sentirmi in colpa se sono sempre in giro. E sono stanca di sentirmi i predicozzi per poi stare a poltrire sul divano il weekend che finalmente siamo insieme a casa e si potrebbero fare cose. Mi organizzo e ciao. Se ci sei bene, se no, taci.

Ed è forse per questo che scorro la bacheca facebook, o i messaggi su whatsapp, ed invidio quelle persone che hanno il coraggio e le capacità di lasciare tutto e ricominciare, vivere lontano da questo mondo marcio, frustrato e infelice. Salire in sella e superare salite ripide che portano a paesaggi mozzafiato. In compagnia. Con quella compagnia che fa bene all’anima, che fa ridere, divertire e che dà energia e spirito per assaporare la vita vera. Quella vita che non è solo fatta di lavoro, faccende famigliari e aspettative. Ma di aria aperta, respiro ampio e orizzonti infiniti.

Ora fatemi un favore, non chiedetemi più quando avrò un figlio, quando avrò un posto fisso, quando finirò di essere un maschiaccio.

Chiedetemi di raccontarvi cosa mi piace fare, le avventure e sfide che incontro tutti i giorni, chiedetemi cosa sogno di diventare e ponetevi la domanda su quale sia il vostro ruolo nella mia vita. Sicuramente non è un ruolo di cagacazzo. Giusto per finire in finezza e stile.

Vostra, Contessa.

Ripartire. #JekyllSide

Pubblicato: 2020-08-14 in PsycoRevolution_Me

“Il lato perverso della mia natura, era meno sviluppato del lato buono di cui m’ero spogliato; e con questo si spiega il fatto che Edward Hyde era tanto più basso e giovane di Henry Jekyll.” x.NancyJekyll.x

“While disguised as a man, Dominator is an intimidating, treacherous and aggressive figure who is dreaded in the galaxy not only for her army and power, but because she managed to become the greatest villain in the galaxy in record time. However, when she is not disguised, Dominator seems to be a highly upbeat, energetic and indefatigable girl.” x.LadyDominator.x

Obiettivi 2020. Ripartire a palla, ed arriva la pandemia.

Quest’anno mi sono presi i 5 minuti di schizzaggine. Rientravo da 1 anno in Francia, senza bidè, potete immaginare.

In Francia ho sentito solitudine e mancanza, ma ho anche apprezzato a fondo la vita di tutti i giorni, il bicchiere di vino a bordo Senna mentre Notre Dame brucia, lo sport in pausa pranzo fatto con i colleghi, il pattinare per le vie della città osservando quartieri pazzeschi e lo spuntare della tour Eiffel (ma che poi noi abbiamo la mole, quindi scansati proprio ferraccio triangolare!).

Cosa ho apprezzato di più? La facilità di concentrazione e i 45 giorni di ferie (più feste nazionali) a libera disposizione. Gli orari flessibili e il sorriso giornaliero dei colleghi quando vedono che lavori tranquilla e porti a termine un lavoro fatto bene.

I weekend erano le vacanze vere, e le ferie il riposo e rientro in famiglia.

Una routine e circondarmi di persone matte era la vera chiave.

You are what you research. I research Happyness.

Ed ho preso non so quanti kg grazie alla grassa cucina francese.

Tornata a casa a fine gennaio, giusto in tempo per lavorare a Torino 3 settimane e restare a lavorare da casa per la pandemia, ho dovuto mettere le radici del mio nuovo/vecchio microclima.

Recuperare il tempo insieme a Giacu, mettermi a dieta, andare in palestra e sgasare ogni weekend.

Con alti, bassi e lockdown, sono ormai parecchi mesi che corro verso i miei obiettivi.

Mi sento molto meglio, mi sto rimettendo in forma, ed ogni weekend è vacanza. Vera. Da assaporare. Da vero brap.

Non serve neanche tanta forza di volontà, perché i risultati sono chiari e immediati.

Mi addormento la sera con la fretta di rialzarmi il mattino dopo.

Lo chiamano stile di vita salutare. #ciaone #giocagiuè

“QUANDO TI MUOVI NELLA DIREZIONE DEI TUOI OBIETTIVI NULLA PUO’ FERMARTI”
…tranne il fiato corto…

Le domeniche consacrate dal Gabbah sono sempre una garanzia.

Si parte sul presto da Pinerolo, gruppazzo di 11 persone con ritrovo a Barge, 2 afriche-CRF1000 (Maria Teresa-Terry e Marco), 3 DRZ (Grazia-Marco30/32salsicce, Marco e Dario-Purcello-Purcè), 4 Dominator (io-ErikaTrex, Christian-ilgabbah, Ciprian-MastroGrigliatore e Angelo Bellissimo-fullname), un KTM690 (Sandro-over65) e un WR250 (Greta-socia).

Il mio casco già ondeggia e casca sul manubrio per mancanza di caffeina. Ci avviamo verso Mombracco con la speranza di trovare un bar aperto e trangugiare un caffè express. Fatto.

Finalmente iniziamo a salire verso la croce di Envie e mettiamo i tasselli sullo sterrato. Grazia oggi festeggia il Battesimo EDT e io dovrei essere di Cresima. È una settimana che ho le paturnie immaginando la brutta fine che farò in questo giro, dichiarato easy e da bicilindrici, ma che sicuro nasconde inside, tagli, battesimi, estreme unzioni e ordinazioni. Full package. E infatti, si parte con una salita un poco impestata di sassi smossi, ma dopo pochi km di fuoristrada siamo già fermi alla croce a fare foto, selfie, amici dello sposo, del battezzato, ammirare la vastità, ed aspettare Greta, la socia, che si è arroccata per la riva. Il video dovreste vederlo, io ero davanti, con l’andatura e la stazza di un maiale in corsa, in piedi sulle pedane che zigzagavo per salire e non arroccarmi sulle pietre, lei dietro ingarellata, a una certa vede un fungo e si butta a raccoglierlo. Arriviamo tutti su in punta, gabbah-dronata e via giù per le cave.

Si fa un taglio di battesimo dritto per dritto nelle cave, il terrore si vede sugli occhi di quasi tutti. Arrivano vicino all’attacco della discesa, scrutano la gola e poi si buttano pian piano. Boh, facciamo come in Sangone: tuffo a bomba! Vado giù secca, peccato che c’è un gradino, ecco quello che tutti vedevano e temevano, va beh, lascio correre il domi, culone indietro e scendo in stile Gardaland Drop Tower. Tutto bene, pensavo peggio…

In discesa tutti i santi aiutano, e continuando la discesa ilGabbah raccoglie 1€, scendo tapinando la Terry con battito cardiaco in aritmia: il caffè inizia a dare i suoi effetti in un mix esplosivo con le perle di omega tre (olio di pesce). Sono un catorcio, Erika sta a Dominator come disagio sta a intoso.

Finita la discesa tappa acqua, siga, chiacchiere… Daje raga che voglio macinare km. Si riparte. Direzione Pasturel e colle Gilba, o almeno credo, non ho molto in mente il percorso che abbiamo fatto, ma facciamo un trasferimento su asfalto e poi su per i boschetti. Angelo, o meglio, il suo domi ci abbandona. RIP (Rientra In Pace).

Inizia di nuovo una salita smossosa (smossa e sassosa), centro in pieno tutta storta una canala di metallo dell’acqua, sculo, vado verso il bordo strada, mi fermo e mi arroco. 1st fall achieved. Level up. “Tut a post, muoviti Sandro, aiutami, che Purcè arriva da dietro!”.

Continuo, faccio la curva, full gas e sento pietre partire, salgo già a fiato corto, ma ti ho riconosciuta, quasi due anni fa, durante il mio primo giro assoluto in off, c’ho lasciato una leva del freno lì in quella curva. È la strada per colle Gilba. Confirmed. Salgo salgo salgo con una testa incasinata e piena di pensieri, rivedo tutti gli attimi di quel mio primo giro: il muretto dove mi sono arroccata a sinistra fratellì, il pezzo dove son caduta a destra, il pezzo dove l’amico mi ha portato su il domi. Zero fiato, solo nebbia nel cervello che manco al Colombardo, mi fermo e prendo fiato. Sandro caro e tenero, nonostante la sua veneranda età, mi sta dietro e mi aiuta, due consigli, riprende fiato con me e si riparte. Olè si entra nella parte finale della risalita, quasi rilassante dopo tutti quei sassi. L’arrivo, Erika c’è: il maiale da corsa: per apprezzare l’esecuzione chiudete gli occhi e immaginate un immensa prateria con in mezzo un maialino che corre ai 180 all’ora. Improvvisamente, in mezzo alla prateria un traguardo. Il maiale vede il traguardo, scatta la frenesia, sgomma con le zampette posteriori e il maiale parte alla velocità del suono! Erika c’è! Arrivata al Gilba senza arroccarmi 82 volte!

La sensazione di adempimento è quasi estetica. Greta arriva poco dopo, a fuoco, super gasata! Anche lei non è caduta e siamo cariche a molla. Arrivano su tutti e intanto ci facciamo du foto, video e i cinghialotti del gruppo risalgono il pratone per arrivare proprio fino alla cima. Dario risolve i suoi conflitti con le pietre sul percorso ed il suo bacino, Ciprian ci sale con la moto di Grazia e anche con il suo domi con gomme slick, MarcoDRZ al seguito, Sandrino arriva solo a metà e batte in ritirata. Intanto, rientrato i box, Sandro fa provare il suo KTM690 a tutti, Terry, la femmina alpha, monta in sella e glielo porta fino in cima. Smacco epocale, non si è ancora alzato adesso dall’umiliazione. Ancora drone drone drone, e poi pappa da veri piemontesi: alle 11.30.

Scendiamo dal Gilba andando verso Sampeyre per scendere poi ad Elva. Un botto di asfalto ma il panorama ripaga. A sto punto anche Greta ci saluta, i tendini del polso sono in fiamme e non riesce più a usare la frizione senza urlare. RIP, rientra in pace stalkerata da Angelo in macchina.

Continuiamo… Nella discesa verso Elva mi sdraio per la seconda volta: appena partita sulla pista, ai 20 all’ora, centro una canala/riva, l’anteriore va ad Antani e puff, sono a terra. Terry dietro di me vede la gif all’infinito: Erika-Nuvoletta di povere, Nuvoletta di polvere-Erika. Il DomiIntonso si rialza da solo, si scuote via la polvere e si riparte.

Prossimo obiettivo Rifugio Carmagnola, scendiamo per una strada asfaltata e spettacolare dentro una gola con gallerie scavate nella roccia ed esse a non finire. Pura goduria. Saliamo verso il rifugio Carmagnola, facciamo foto poser su delle cascate lungo la strada e poi giriamo i tacchi a metà per un divieto sospetto. Adieu. Scoraggiati scendiamo e ci consoliamo con una birra.

È tardi ed ormai è ora di rientrare, purtroppo tutto su asfalto. Torniamo a razzo verso Sampeyre e poi puntiamo a Barge. Purcè davanti (diffidare da lui se dietro), io lo seguo, gli altri in testa sono spariti, ci hanno seminato e abbandonato. Dribliamo il traffico di merenderos in macchina e ad una certa Purcè gira per Cuneo, per poi fermarsi e chiedermi di controllare il navigatore. E bin. Boh ci siamo quasi; Purcè: “E non abbiamo neanche preso acqua”. Taci iettatore.

5 minuti dopo, entrando in Saluzzo iniziano a gocciolare schiaffi, rallento per immettermi in rotonda, ai soliti 20 all’ora, freno dietro, scalo, swish, sdraiarsi! Ta ta ta ta, gioca Purcè! Anche per lui stessa fine, doppia medaglia d’oro per entrata in curva in sdraiata sincrona. Va beh, rialziamo le moto, la dignità e scappiamo verso Barge.

Giro concluso, 250 km dalla partenza a Pinerolo al rientro a Barge, molto asfalto, sterrati molto belli ed in ottima compagnia!

Un grazie grande grande a tutti per la bella giornata in onore della mia prima Comunione…come vedete miglioro e mi sono sdraiata solo 3 volte: mannaggia agli scoli in metallo, alle canale, e all’asfalto saponoso che “Fortunati non abbiamo preso pioggia”, Purcè stai zitto…taaac…

Un grazie enorme al Gabbah per aver organizzato il giro, ma prossima volta meno asfalto e facci tornare a casa presto!

Grazie a Sandro il crocerossino!

Grazie a Grazia per dovere e ancora auguri per il Battesimo!

Ma il grazie più grande se lo meritano Greta e la donna alpha Terry! È stato veramente bellissimo girare con voi! 100 di queste donne ci vorrebbero!

Stay tuned for my Cresima.

CiaH, vostraH EriHa.

TgCinghiali24

Pubblicato: 2020-07-13 in #Enduro

Buongiorno, in prima pagina gli italiani in coda al casello verso Genova. Gruppo di enduristi arriva in meno di 8 ore al mare e senza pagare caselli, a parte il pedaggio della via Alta del Sale giusto per togliersi il gusto di farla una volta. Ciaone.

Ora la linea alle quasi 3 grazie, Mattia Graziella: “Salve a tutti, sabato di jolly e traversi nei tornanti, perdiamo cellulari senza neanche accorgercene. Dai facciamo una foto, e tac, il cellulare è sparito. Ringraziamo Google per il servizio di localizzazione. Cellulare ritrovato poco dopo spalmato dai quad in discesa libera. Ti ricorderemo così, sorridente e luminosità 100%. RIP. Linea in studio”

Grazie per la diretta, e ricordiamo ai pochi sfigati che vogliono stare offline, senza Immuni, senza Internet e Bluetooth, che essere connessi e sincronizzati ripaga. Poi fate voi, intanto noi abbiamo ritrovato un cellulare nel bosco con poca fatica.

E senza demordere proseguono fino a farsi bruciare le frizioni dai francesi nei tentativi di risalire i tagli di neve. Niente, ci si raffredda e ridiscende a casa. Intanto tutto l’Enduro Piemonte è allo Scarfiotti.

Domenica di sole in quel della Valsusa, avvistato gruppo misto in salita per Frais e Bardonecchia. Saldature on the way e pranzo a punta Colomion. Si continua per Sportinia e l’Assietta con vista Colombardo Style, o vista cofano bianco dei fuoristrada in senso opposto. Belle le foto al colle. Mai na gioia. Discesa a fuoco dalle finestre e rientro in off verso Avigliana. Segnalato ingarellamento per campi; banchi e sedie di polvere in aumento.

Per strada incrociati il gruppo di Domi con Paolo Caimotto e il Pane Salame Team. Fra finestre e assietta Fede e Dome, altri due dominatori edt che probabilmente avevano appena finito di limonare sulla panchina gigante verde del rifugio poco più sotto. Il Gabbah e gli amici Lombardi non pervenuti, sarà per la prossima.

E anche per oggi i monti della luna, colle bercia e lago nero li facciamo domani. #noncelafaròmai

Per questo weekend è tutto. Grazie per averci seguito.

20200713 - Assietta Erika 2.PNG

Lunedì 18 maggio 2020.

Uè raga, sapete che c’è? Il braccio/gomito è guarito e la fisioterapia è finita! Tutto riapre!

Si può girare senza autocertificazione e praticare sport individuali senza assembramento, mantenendo le distanze di sicurezza ed i dispositivi di protezione adatti al caso.

Tacchi messi, mascherina anche, si può uscire! Smithers, libera i cani! Verso il fango ed oltre!

Spero che la dieta faccia effetto presto che mannaggia al COVID i pantaloni da enduro mi stanno stretti!

Iniziamo subito con i numeri della giornata per muoverci poi verso qualche pensiero e descrizione del giro.

200 km, 5 Dominatori 1 Africano 1 yamahaqualcosa. 7 persone, Sdraiate di Erika 7. Spero che questa non sia una correlazione. 1 stellina EDT conquistata. Su 2 uscite EDT fatte ho conquistato 2 stelline, spero di mantenere questo primato di ignoranza.

Nonostante il mio numero nell’ultima uscita, il clemente Enduro Drinking Team tenta ancora la sorte accettandomi nel gruppo durante la prima uscita dopo la quarantena. A casa ognuno ha però realizzato una Erika-bambola voodoo per maledirmi in caso di altre complicazioni.

Il giro è in zona di casa, partiamo dal lago piccolo di Avigliana e andiamo verso la mia città, Giaveno, per tentare di salire al colletto del forno tramite guado. Arrivati li l’acqua e la corrente sono alti, ha piovuto cani e gatti fino al giorno prima. Il fondo è “piatto” ma io mi sto già cagando sotto e non ho intenzione di farmi un bagno sicuro dopo neanche 10 km di giro. Marco con il suo WRF250 si fionda, senza la minima esitazione, e attraversa il guado salutandoci dalla parte opposta. Merda, ce l’ha pure fatta, ora ci tocca andare. Mi passa davanti tutta la mia breve vita, ed in particolare il mio fantastico tuffo nel fiume durante la mia seconda uscita in off al raduno Africa Twin 2019 in Toscana. Non l’ho ancora superato. “Io non ci volevo venire, tu a far le stronzate ed io sempre dietro come un coglione”, direbbe SamGhei. Il tic alla gamba inizia a farsi sentire sulla pedalina, ma si prende la saggia decisione di evitare. Marco fa spallucce e torna indietro senza particolari problemi ma conquistandosi giustamente una stellina!

Decidiamo di lasciar perdere il Colletto del Forno e salire per Maddalena e varie altre borgate. In testa Ciprian con gomme nuove di pacca, evento più unico che raro, in compenso aveva già perso una freccia a Coazze, recuperata tornando a far benzina. Io mi sento a casa e ricordo i bei momenti di me 14enne che giravo per ste borgatine con l’HM50 derapage, motard, e già allora perfezionavo la mia abilità di sdraiata, facilitata pure dalle gomme stradali (mi chiamavano Furbizia). Anyway, giriamo, e i quasi 3 mesi di fermo si fanno sentire, alle prime salite un po’ impegnative sono così stordita da scegliere le tracce peggiori e scavalco sassi e radici per puro culo. Intanto al solito ci infiliamo in un sentiero e la mia tendenza suicida si mette all’opera. Ho questa inspiegabile tendenza di buttarmi sulle rive a monte, forse per la paura matta di scivolare giù dai burroni. Così mi arrocco qui e là perché invece di stare sul sentiero salgo e riscivolo giù. Niente di grave, ma inizio a sudare. Il riscaldamento è finito. Intanto si fanno le 10.30 (siamo partiti un’ora prima circa) e siamo già in un sentiero che non sappiamo dove finisca, ricco di gradini e che si continua a stringere. E bin (da leggere con intonazione alla piemontese/Denis).

Insomma, grazie alla grande pietà del Gabbah mi ritrovo il domi comodamente girato per tornare indietro sui nostri passi.

Ci muoviamo verso il braida per andare a consumare il nostro pranzo al sacco distanziati di 1 m uno dall’altro. Il Gabbah perde pezzi come al solito, recupero la tanichetta di olio di Ciprian, me la metto nello zaino così evitiamo altre dispersioni (sarà la vera causa di tutte le mie cadute per il sovraccarico creato). Nel tragitto verso il braida mi sdraio un altro paio di volte, in realtà il percorso lo avevo già fatto durante la mia prima uscita assoluta con l’EDT, ma a sto giro è bagnatissimo e nonostante i tasselli mi pianto su un gradino. Mentre appoggio un piede sulla riva e l’altro sulla pedalina, mi sento quasi pro e riesco a superare un primo gradino, peccato che il secondo subito li attaccato non riesco a risalirlo e mi sdraio brutalmente quasi mettendomi il domi per cappello. Viste le mi scarse doti di guida, per fortuna resto sempre penultima, e a sto giro tocca a Ciprian aiutarmi e portarmi su il domi. Boh, arriviamo salvi all’area picnic e facciamo pranzo.

Ci fermiamo pochissimo, trangugio due pezzi di pizza integrale con melanzane fatta in casa il giorno prima, e dono la mia birra sacrificale a sti poveracci che mi sopportano e aiutano. Io non posso bere, perché sono a dieta, ma non solo per quello.

Si riparte verso la Valsusa, per raccattare l’Africano (Andrea, uno dei due pelati responsabili regionali del MC AT) e Angelo Bellissimo.

Si inizia la salita per il Colombardo con tagli improbabili, non impossibili, ma io sono così scarsa ed inizio a essere così stanca che mi sdraio a ogni minimo accenno di salita. A una certa, verso la caduta 4 o 5, mi incazzo male, inizio a strappare e lanciare ciuffi d’erba maledicendo la mia scarsità fisica, tecnica e mentale. Anche qui mi rigirano il domi e torniamo indietro. Alla fine si sale per la strada asfaltata senza tagli e si arriva al Colombardo attraversando nebbia spessa come gelatina. In un piccolo sprazzo di sole e una bella pista sterrata che si srotola davanti ai miei occhi, mi risveglio, sono motivata, accelero un pochino per non arrivare quei soliti 45 minuti dopo tutti. Bad idea. Davanti a me un accenno di curva, mi rendo conto di essere troppo veloce, così freno dietro, scalo la marcia, mi intraverso e… niente, da quasi ferma in mezzo alla strada il domi mi scivola a terra. Sdraiata con stile numero 6. Testimone Angelo.

Arrivo in cima, passando a fianco a cumuli di neve e sorridendo sotto il casco. Sono morta, ma felice. Come far stare zitta una donna? Mettila su una moto, falla stancare macinando fango, portala al Colombardo. Non ho spiaccicato parola, a una certa rido ad una battuta, il Gabbah si gira ed esclama: “Erika ha riso, possiamo ripartire”. Doh. Dopo aver ascoltato il zanzarare (esiste sto verbo?) del drone per le riprese fighe del Gabbah, ripartiamo direzione valli di Lanzo.

Questa seconda parte del giro è bellissima, piste nel sottobosco, risaliamo a fianco di fiumi e mi sdraio per la 7ima e ultima volta sulle foglie in un tornante stretto. Abbiamo fatto delle salitone dove non credevo di potercela fare, ma finalmente capisco il valore aggiunto dei tasselli porcelli montati nuovi nuovi, questa è la loro terza uscita ufficiale. La precedente forse ricorderete come è finita.

Ne approfitto per succhiare informazioni tecniche da Andrea il crossista, che mi spiega come potrei sfruttare le sponde o migliorare le traiettorie nei tornanti.

In ogni caso ce la faccio, arrivo salva alla fine, proviamo ancora a risalire per una strada tutta tornanti e bei panorami, che però non abbiamo visto e ci siamo pure beccati l’acquazzone. Scendiamo quindi a Viù e andiamo verso il colle del Lys per incontrare Marco DRZ400 per l’aperitivo dopo lavoro.

Ultimo pezzo, discesa sulla tagliafuoco verso Almese, bellissima e rilassante, il domi mi si spegne dal nulla. Giro su riserva (credo di aver perso più benzina in tutte le volte che mi sono sdraiata di quella che ho consumato nel giro). Il domi parte e dopo 5 metri si rispegne. Niente, il tastino di avviamento e le luci del cruscotto non danno segni di vita… Anche lui è stanco e dà segni di cedimento. Insistendo a una certa si riaccende. Per non rischiare, il Santo Gabbah mi accompagna indietro per la statale asfaltata, mentre anche Giacomo, preoccupato per non avermi sentito tutto il giorno, mi viene incontro, e ci ritroviamo tutti ad Almese.

Ultime drinking condivisioni di fine giro e poi è ora di tornare a casa a far cena. Sono tanto stanca quanto felice e affamata.

Dopo cena per non farsi mancare niente scendiamo a Monteu Roero con l’Africa aggiungendo 65 km alla giornata. Ora posso morire nel letto. Concludiamo anche facendo rosicare la gente con le foto e video della giornata.

Bye bye beautiful.

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Recuperare il tempo

Pubblicato: 2020-03-29 in PsycoRevolution_Me

Si conclude la quinta settimana di confinamento forzato, che in ogni caso per fortuna io sto vivendo serenamente, dopo numerosi allenamenti di sessioni esami universitari e scrittura di 3 tesi che ti rilegano in casa per molto meno e per molto più tempo. Questo periodo però mi ha fatto riflettere su molte cose.

Innanzitutto i gruppi whatsapp sono seriamente deleteri, la gente da un giorno all’altro diventa cacciatrice di notizie che in modo insindacabile reputa veritiere senza controllarne la fonte e condivide su ogni chat a cui è iscritta, generando milioni di messaggi tutti uguali, condividendo gli stessi video o immagini di questionabile ironia, e inoltrando catene di inneggio alla patria o di aggiornamenti (sicuramente fondati *irony*) sulla situazione. Per non parlare di audio di gente a caso che manco parla con riferimenti specifici su chi dove quando e cosa. Stufa della situazione decido che il confinamento non deve essere solo fisico, ma anche mentale, quindi non apro nessun video, non inoltro nessun messaggio, foto, catene, audio, e non leggo neanche uno degli articoli o link inviati. Si salvano solo i giornali gratuiti che qualcuno di più furbo scarica grazie all’editoria solidale e condivide, certo speravo in un playboy per noi signore, ma mi è solo arrivata l’edizione speciale boobs sul gruppo di enduristi. Giacomo ha apprezzato, grazie.

Per non parlare poi delle chiacchere da bar, lamentele da qualsiasi persona che crede di saperne di gran lunga di più di qualsiasi fonte scientifica affermata e che deve fare la morale su qualsiasi decisione presa dal governo per lamentarsi su tutto e tutti. Idioti che escono in strada a correre, idioti che obbligano a chiudere piccoli negozi ma tengono i tabaccai aperti (qui un po’ di ragione ce l’hanno), idioti che vanno a trovare i nonni per prenderne prima l’eredità e così via. Stessi idioti loro stessi che se sanno ed hanno visto queste cose sono usciti di casa, o hanno letto notizie su www.ortomio.it (non cliccate, non so che sito sia).

Io mi limito a qualche commento molto critico, poche sfuriate, e poi arrivo alla conclusione di starmene zitta per il bene della mia sanità mentale. Non c’è peggior sordo di chi si informa sulla pagina “Cosa non vogliono dirci”.

La mia idea comunque è che qui la questione è seria, ho la fortuna di poter lavorare da casa, e ce lo hanno fatto fare da subito. È più di un mese che sto a casa a lavorare al pc, sono un po’ zoppa in efficienza, concentrazione e qualche risorsa che ovviamente in ufficio o laboratorio avrei avuto, ma cerco di abituarmi, migliorare e continuare al meglio delle mie possibilità. La borsa di studio mensile, per quanto mi lamentassi della sua scarsità, almeno a me arriverà a fine mese. Si, sono fortunata, ma non ho mutua, ferie, maternità, contributi INPS. Va beh, vediamo il bicchiere mezzo pieno. Di vino.

Si, lavorare da casa non è semplice, l’ho fatto qualche volta, ma adesso lo patisco un poco, soprattutto per il prolungarsi di questa situazione. Ammetto che lavorare in questo modo un giorno a settimana non sarebbe male, da tenere a mente. Inoltre risparmio più di 100€ mensili per l’abbonamento del treno, e guadagno quasi 600 ore al mese in spostamenti casa-lavoro. Che spendo per il bicchiere mezzo pieno di vino ogni giorno.

L’isolamento sociale viene in parte rimpiazzato dalla “fortuna” di avere un marito con me a casa h24 7/7. Ho usato le virgolette perché ero terrorizzata da questo scenario, immaginando un mio crollo in situazione psichiatrica da internamento. Ho speso la prima settimana a urlargli dietro che poteva anche alzare le chiappe dal divano per fare qualcosa in casa, tipo apparecchiare, preparare i pasti, pulire casa, bagnare le piante, visto che io dovevo star dietro a webconf e scrittura di articoli, per fare almeno quel poco di lavoro che riuscivo sul pc. Una settimana di carico mentale e sagra del “bastava chiedere”.

Superata la barriera di adattamento della prima settimana, abbiamo cominciato ad ascoltarci di più e tutto ha cominciato a migliorare e si è sbloccato. Si è occupato di lavoretti di casa, mi ha aiutato, senza bisogno di chiedere, in molte cose, ed abbiamo finito tutti i mondi di SuperMarioBros sulla Wii. Che coppia vincente.

Giacomo a causa mia ha sacrificato molto di noi. In 5 anni di matrimonio, io ne ho spesi quasi 2 all’estero fra lavoro, conferenze e meeting. La giostra gira ancora e non accenna a fermarsi, eppure non potete minimamente immaginare quanto sia difficile, ma quanto, nel nostro amore, lui anche se contrario, mi sostenga nel mio percorso di carriera universitaria.

Ebbene, questa quarantena ci sta facendo recuperare il tempo perso, e non posso smettere di pensare a quanto ci faccia stare bene vivere nella stessa casa, condividere le stesse passioni, e amarci. Ero spaventata perché quello che in alternativa poteva accadere erano sfuriate litigiose che potevano sfociare in violenza, situazione purtroppo generalmente diffusa di violenza domestica che potenzialmente poteva benissimo accadere come conseguente perdita di senno per lo stare rinchiusi in casa. Invece no, ci riscopriamo come due giovani sposi (in fondo sono solo 3 anni che siamo sposati), e continuiamo a costruire insieme la nostra famiglia. DISCLAIMER: se i nostri vicini sentono mie urla non sono né per quello che state pensando, né per le botte, è la fiosioterapia del gomito bloccato che mannaggia al gesso fa più male della caduta che mi ha causato una forse-non frattura. Va beh. In quarantena si sbloccherà anche l’articolazione del gomito e Giacomo prenderà una laurea ad honorem.

Non ci lamentiamo, stiamo a casa tranquilli a riscoprire la bellezza di recuperare tempo per se stessi e per noi, facciamo i lavori di casa insieme, cuciniamo piatti sani, ci concentriamo nello sprecare il meno possibile e ridurre i rifiuti, riprendiamo in mano videogiochi degli anni 90, ascoltiamo musica ballando sul divano, puliamo casa che Freddy Mercury I want to break free scansati proprio che te ne devi restare a casa!

Così, in neanche 2 settimane di reclusione insieme, siamo diventati muratori, parrucchieri, estetisti, masterchef, meccanici, informatici (soprattutto nel lavoro in remoto e nel crack di videogame e console), botanici e specialisti in camera da letto (level up).

La morale è che ci siamo fatti una cultura infinita, in sole 2 settimane, e senza aprire nessun link di informazioni allarmiste e complottiste. Ringraziamo Aranzulla, google e youtube per i tutorial. Siamo diventati tante altre cose, ma sicuramente non medici (a parte le sessioni di fisioterapia) e neanche politici, affidandoci alle decisioni prese e seguendole alla lettera.

Fate come noi, enjoy your home sweet home. Riscopriti, riscopritevi!

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Chi mi conosce, anche poco, sa che, oltre ad essere contessa, sono una gran chiacchierona, e qualsiasi cosa mi passi per la testa, o mi stia capitando nella vita, la racconto a tutti quegli sfortunati che incrociano la mia strada, o che per sfortuna mi devono accompagnare al pronto soccorso dopo una caduta epica, che di epico ha solo la mia stupidità. @Renard #giacomomiammazza

Il punto è che prima, quando nessuno mi ascoltava, postavo qua, poi, dal 2013, ho iniziato a parlare con la gente e così, che ragione avevo di scrivere qui?

Tuttavia, ogni tanto, molto poco a dire la verità, sento la necessità di scrivere piuttosto che parlare. Per fissare i pensieri e le idee in modo tracciabile. Era veramente un secolo che non utilizzavo il blog per scrivere di me. Ed ora è forse giuta l’ora per tornare.

Jekyll is back.

Questa è la mia terza settimana di smart working causa corona virus. Ho quindi necessità di scrivere.

La prima settimana ero rimasta a Monteu Roero, a lavorare connessa tramite hotspot del cellulare, perché siamo così disagiati da aver annullato i contratti internet a casa ad Avigliana ed ovviamente non ne abbiamo fatto nessuno a Monteu. Con quello che risparmiamo di canone internet al mese posso permettermi una cassa di birra del Penny. Mica pizza e fichi.

Sabato 29 febbraio ho finalmente aperto l’assicurazione del mio Dominator, che scalpitava da tutto febbraio grazie alle giornate soleggiate e i 25°C fissi nei weekend, che tanto moriremo come la rana nella pentola grazie al cambiamento climatico e il surriscaldamento globale.

Così mi sono messa in pista, o meglio, fuori pista con @Lex e @Greta (non quella dei #fridayforfuture), e ci siamo fatti una piacevolissima scampagnata fino a Pinerolo. Nessuna trattativa, a parte uno scambio di numeri e profili Instagram.

La domenica, 1 marzo, con l’occasione di uscire finalmente la moto per incontrarmi con l’Enduro Drinking Team, mi avvio col gruppo Easy, facciamo un percorso in 30% fuoristrada fino a Pinerolo, saliamo alla fontana degli alpini per depositare bottiglia di vino e bugie leggermente shakerate dal mio zaino e partiamo per raggiungere la traccia ad anello da completare prima della grigliata.

Ci infiliamo fiduciosi in un single track, qualcuno già vacilla, e scoraggiati si torna indietro. Io e altri tre temerari sgasiamo ancora avanti e indietro per una stradina giusto per fare qualche km a fuoco e mangiare polvere.

Tornati la carne è pronta, con tempismo impeccabile arriva il gruppo hard e si inizia il pranzo di Pasqua. Mi siedo vicino ad @Enrico, che come un buco nero lascia passare pochissimo cibo, ma almeno mi riempie sempre il bicchiere. Riesco ad addentare qualche salamella e sono felice.

È ora di ripartire, io in realtà sto aspettando @Giacomo che mi venga a prendere, ma insicura che il pickup riesca ad arrivare fino a li a causa delle strade strette, e avendo ancora la rogna di girare in fuoristrada che non avevo scaricato la mattina, parto col gruppo per farmi ancora qualche km e scendere al parcheggio dei carrelli.

Parto già ingarellata, derapando e scaricando pietre sulla macchina di due ciclisti, @Luca e @Lex che a sto giro non deve dimostrare nulla a nessuna giovane donzella e quindi si è ridotto a pedalare. Mi dicono dalla regia che con questa scena ho ottenuto la vicepresidenza ad honorem dell’EDT.

Il resto del racconto è solo poesia, by @Dario, che pubblico qui sotto:

“Cara Erika Zumberg 😂 siamo felicissimi che stai bene ma non avevamo dubbi che quel santo di tuo marito non ti avrebbe soppressa come tu continuavi a dire 😂 #giacomomiammazza
In effetti ero dietro di te quando hai fatto il numero, e me ne rammarico perché ti fossi stato davanti, magari sarei riuscito a frenare i tuoi istinti suicidi 😜
Confermo che è certamente colpa del giro easy se ti sei fatta male. Gentaccia quella 😬
Comunque devo dire che la preoccupazione c’è stata fin dai primi metri perché sei partita a fuoco derapando a 4 cm dalla fiancata della macchina di Linus 😂
Poi salendo le cose non sono andate migliorando, finché hai preso sto tornante come non ci fosse un domani e in uscita hai pensato bene di srotolare il gas a martello e anziché rimanere sulla strada hai abbattuto 5/6 piante e ti sei arroccata giù per la riva. Tanto è tutto ripreso dal Gabbah 😜
Quando siamo arrivati in tuo soccorso hai prima di tutto scorreggiato fortissimo 😬 e poi hai detto che non avevi più voglia di venire a fare il giro con noi 😂
Allora ti ho chiesto dove ti facesse male e in risposta mi hai detto che Giacomo ti avrebbe uccisa 😂😂😂
Poi hai iniziato a lamentare dolori al braccio e ho deciso di steccarlo con un ramo ma ho rischiato pure di prenderle perché devo aver stretto troppo una fascetta e mi hai urlato: ” oh ma che cazzo ti stringii?” 😅😅😅
Poi va beh hai deambulato sorretta da Ivo e Danish fino al carro funebre di Renard e siamo andati a Pinerolo. Il resto è noia.”

Il mestiere che entra. #inDominator

Il risutato è stata una botta stratosferica e una stecca di gesso da tenere fino al 18 marzo. Sul CV ora posso aggiungere che sono ambidestra, con comprovate capacità mancine.

La potenza di una donna… metto il gesso per una caduta… 3 giorni dopo nessuno può più uscire di casa e andare in moto. VIVA LA VIDA.

Dopo la caduta inizia così la mia seconda settimana di smart working, a casa dei miei a Giaveno, visto che c’hanno l’internetto. Sono lentissima a fare qualsiasi cosa ma ne esco viva.

E ora siamo qui, inizia la terza settimana a casa, ma a sto giro importuno i miei suoceri ad Avigliana, così posso andare da loro a piedi e anche qua ho internet. Mi cucinano pranzo e cena anche solo per un grazie, che suoceri!

Insomma, un buon momento per farsi male.

Erika is the new Greta.

A inizio febbraio:

  1. Mi sono iscritta in palestra
  2. Ho preso appuntamento con il nutrizionista
  3. Ho montato i tasselli
  4. Ho aperto l’assicurazione del domi il 29 febbraio
  5. Ho fatto 2 uscite, una il 29 e una il 1 marzo dove mi sono “rotta” il gomito

L’EPIDEMIA E’ ESPLOSA, TUTTI A CASA.

Ciao povery.

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Si racconta che i massoni si riconoscessero tra loro grattandosi reciprocamente il palmo nell’atto in cui si stringevano la mano. Proporrei che i chimici (o gli ex chimici, come me) della mia generazione, quando vengono fra loro presentati, si mostrino a vicenda il palmo della mano destra: la maggior parte di loro, verso il centro, là dove il tendine flessore del dito medio incrocia quella che i chiromanti chiamano la linea della testa, conserva una piccola cicatrice professionale altamente specifica di cui spiegherò l’origine. Oggi, nei laboratori chimici, si montano in pochi minuti apparecchi anche molto complessi usando vetreria a cono smerigliato unificato: è un sistema rapido e pulito, i giunti tengono bene anche al vuoto, i pezzi sono intercambiabili, ce n’è un vasto assortimento, e il montaggio è semplice come giocare con il Lego o il Meccano. Ma fin verso il 1940 i coni unificati, in Italia, erano sconosciuti o costosissimi, comunque preclusi agli studenti. Per la tenuta, si usavano tappi di sughero o di gomma; quando (cosa frequente, ad esempio per collegare un pallone con un refrigerante) occorreva infilare in un tappo forato un tubo di vetro piegato a squadra, si afferrava quest’ultimo e si premeva girando: spesso il vetro si rompeva, e il troncone affilato si piantava nella mano. Sarebbe stato facile, anzi doveroso, avvertire gli adepti di questo piccolo pericolo agevolmente prevenibile: ma è noto che, in qualche oscuro recesso tribale della nostra natura, sopravvive un impulso che ci spinge a far si che ogni iniziazione sia dolorosa, sia memorabile e lasci il segno. Questo, nel palmo della mano operante, era il nostro segno: di chimici ancora un poco alchimisti, ancora un poco costituiti in setta segreta. Del resto, e sempre in materia di tenuta ermetica, i professori più anziani ci parlavano ancora, con curiosa nostalgia, dei «luti», usati dai pionieri della chimica al tempo in cui i tappi stessi non esistevano: erano impasti (lutum, in latino, è il fango) di argilla e olio di lino, o di litargirio e glicerina, o di amianto e silicato, o altro ancora, che servivano a collegare i loro rozzi attrezzi. Ne è un lontano figlio il mastice per vetri rossiccio, a base di minio, che è caduto in disuso da qualche decennio. Veramente l’ingresso in laboratorio aveva in sé qualcosa del rituale iniziatico. C’era il camice bianco, per ragazzi e ragazze: solo qualche eretico, o desideroso di apparire tale, lo portava grigio o nero. C’era la spatola nel taschino, insegna della corporazione. C’era la cerimonia della consegna della vetreria: fragile, sacra perché fragile, e se romperai pagherai; per la prima volta nella carriera scolastica, anzi nella vita, rispondevi di qualcosa non tuo, che ti veniva solennemente affidato (contro ricevuta firmata). Ne nasceva un curioso commercio. Spesso, un vetro malamente esposto alla fiamma libera faceva un tic sinistro e si incrinava. Se l’incrinatura era piccola, si faceva finta di niente, sperando che alla riconsegna il magazziniere non la notasse; se era grossa, il pezzo veniva messo all’asta: a qualcosa poteva ancora servire. Poteva servire a quello a cui era andata male una preparazione, o che aveva seminato un precipitato da pesare, o che comunque, anche per ragioni private, aveva bisogno di scaricarsi i nervi; acquistava per poche lire il vetro ferito, e pubblicamente, con la maggior violenza e il peggior fracasso possibile, lo scaraventava contro il muro sopra l’acquaio. L’enorme acquaio e i suoi dintorni erano sede di un perenne assembramento. Ci si andava per fumare, per chiacchierare, ed anche per corteggiare le ragazze: ma il lavoro di laboratorio, specie quello di analisi, è serio ed impegnativo, ed anche in sede di corteggiamento era difficile scrollarsi di dosso l’ansia che vi era connessa. C’era un vivace scambio di informazioni, consigli e lamenti. Era strano: essere rimandati a un esame orale non era certo gradevole, ma veniva preso sportivamente, sia dall’interessato, sia dai suoi colleghi; era più un infortunio che un fallimento, era una disavventura da raccontare con una certa allegria, quasi con vanto, come quando ci si prende una distorsione sciando. Sbagliare un’analisi era più brutto: forse perché, inconsciamente, ci si rendeva conto che il giudizio degli uomini (in questo caso dei professori) è arbitrario e contestabile, mentre il giudizio delle cose è sempre inesorabile e giusto: è una legge uguale per tutti. Chi aveva «perso» un elemento in analisi qualitativa non se ne vantava mai; tanto meno si vantava quello che invece ne aveva «inventato» uno, aveva cioè, nel misterioso grammo di polverina che ci veniva sottoposto, trovato qualcosa che non c’era. Il primo poteva essere un distratto o un miope; il secondo, solo uno sciocco: un conto è non vedere quello c’è, un altro vedere quello che non c’è. Sotto molti aspetti le due analisi, qualitativa e quantitativa, differivano da tutto quanto fino allora avessimo visto o fatto. Non a caso spesso i valori individuali si capovolgevano, come avveniva a ginnastica nelle scuole medie. I «primi della classe» dalla memoria proverbiale, i trionfatori degli esami orali, bravi a sciogliere le intricatezze della chimica teorica, bravi a esporre con chiarezza le nozioni acquisite, o magari anche a gabellare per capite le cose non capite, capaci di mostrare sicurezza anche quando non l’avevano, a volte anche dotati di eccellente ingegno, davanti alla pratica del laboratorio non sempre facevano buona prova. Qui occorrevano altre virtù: umiltà, pazienza, metodo, abilità manuale; ed anche, perché no? buona vista ed olfatto, resistenza nervosa e muscolare, resilienza davanti agli insuccessi. Soprattutto l’analisi quantitativa, nella sua variante detta ponderale, era un esercizio estenuante. Il pedagogo, pro fessore o assistente, consegnava ad ogni studente una fiala che conteneva, in soluzione, una quantità sconosciuta di un elemento. Bisognava «precipitarlo», cioè renderlo insolubile, mediante un certo reattivo e sotto rigide modalità; raccoglierlo tutto (spesso era un lavoro di ore) su un filtro; lavarlo; essiccarlo; calcinarlo; lasciarlo raffreddare e pesarlo alla bilancia di precisione. La sequenza non lasciava spazio all’iniziativa, comportava snervanti tempi morti e un’attenzione maniaca; non era un lavoro attraente, assomigliava troppo a quanto potrebbe fare una macchina (e infatti, oggi lo fanno le macchine, molto meglio e più presto degli uomini). Posso confessarlo, ora che molti decenni sono passati: il trenta che ho riportato nel 1940 all’esame di analisi quantitativa non era meritato, o meglio, veniva a premiare un merito ambiguo. Mi era venuto in mente di compilare i risultati ottenuti dai miei colleghi nel dosaggio dell’elemento su cui verteva l’esame pratico, e mi ero accorto che, a meno di piccoli scarti, erano «quantizzati»: erano multipli interi di un certo valore. Non c’era nulla di metafisico, ed il significato era chiaro: per risparmiare tempo e fatica, il professore, invece di pesare per ogni candidato, più o meno a caso, la sua porzioncina, si doveva servire di una buretta, cioè di un lungo tubo verticale calibrato e graduato, assegnando a ciascuno un numero intero di centimetri cubi di soluzione. Me ne accertai entrando un giorno, con un pretesto, nella camera segreta dove si preparavano i quiz materializzati: si, la buretta era li, bene in vista, ancora piena della soluzione azzurrina. Bastava eseguire l’analisi anche in modo corrivo, e poi arrotondare il risultato in modo che corrispondesse al più prossimo dei gradini della mia scala. Comunicai la mia illegale scoperta solo a due amici intimi, che ebbero trenta come me. Non so se tuttora le analisi quantitative vengano somministrate con questo sistema. Se si, valga questa confessione per i professori e per gli studenti pigri. Purtroppo, il trucco non ha alcun valore negli innumerevoli casi pratici in cui il chimico, ormai laureato, viene posto davanti al triste compito di una determinazione quantitativa su una materia di origine vegetale, animale o minerale (o anche commerciale). Come è noto, la natura non fa salti, o almeno non macroscopici. In laboratorio le ragazze si trovavano più a loro agio dei maschi. In un tempo in cui, almeno in Italia, il femminismo non aveva ancora alcun peso, le studentesse ravvisavano una rassicurante continuità tra il lavoro casalingo e quello di laboratorio: quest’ultimo era solo un po’ più preciso nelle prescrizioni, ma l’analogia era evidente, e il disagio della novità proporzionalmente minore. Fra noi era diventato gradevole costume che alle cinque le colleghe offrissero il tè confezionato nella vetreria da lavoro; qualche volta, perfino accompagnato da minuscoli biscotti sperimentali, frettolosi e dissacratori, confezionati con amido e diastasi e cotti nel fornetto di essiccazione dei precipitati. Nonostante gli inconvenienti sopra detti, credo che ogni chimico conservi del laboratorio universitario un ricordo dolce e pieno di nostalgia. Non soltanto perché vi si nutriva una camaraderie intensa, legata al lavoro comune, ma anche perché se ne usciva, ogni sera e più acutamente a fine corso, con la sensazione di avere «imparato a fare una cosa»; il che, la vita lo insegna, è diverso dall’avere «imparato una cosa».

Fedeltà

Pubblicato: 2011-10-06 in Teenager - Cose a Caso

Prendi La Mia Mano.

“Chi più, chi meno, molti tengono a dirti che sono molto credenti.”
“Ma questo cosa cambia nella nostra vita rispetto a tutti gli altri?” – Il tesoro nel campo.

Mi fa piacere che ci sia qualcuno che vuole far notare agli altri che è credente. Sono felice per loro. Io non sono esattamente una di quelle che urla a tutti che crede, che crede fortemente e che basa la propria vita su un progetto ben più ampio e che va oltre ciò che tutti i giorni viviamo.
Quello che cerco di fare è farlo capire senza parlare, non sono mai stata brava a fare discorsoni e dalla sintassi sconnessa di questo mio blog si può capire…non sono neppure poi così brava a scrivere…
Quello che cambia rispetto a qualsiasi altro è che la mia vita dura di più 😉
Ahahhaa detto così sembra una vera e propria provocazione…
Ovviamente non è così semplice, io credo fermamente che la mia vita duri di più, che la mia vita sia eterna, nel bene o nel male questo non lo so, perchè so che qualcuno mi ama e so che come lui mi ama anche io devo amare gli altri, non solo quelli che mi viene comodo amare ma tutti. So che esistono dei valori, so che esiste un fantastico libro che si chiama Vangelo che è tutto da scoprire e so che per me essere cristiano è una chiamata a essere un cittadino in prima linea, non tanto per acquisire sempre più diritti ma per cercare di creare il paradiso che Gesù ha proposto 2011 anni fa circa.

Ieri mi è capitato di ascoltare un mini dibattito sul movimento per la vita che ora è stato inserito in ogni consultorio per l’aborto, una sorta di colloquio obbligatorio prima di abortire. Tutti coloro che si sono espressi su questo tema erano contro questa nuova legge che è ufficialmente passata.
Io non ho fatto altro che stare zitta.
Non ho avuto il coraggio di dire la mia.
Ho preferito darmi il tempo per pensare e per riflettere.

Cosa cambia il vangelo nella nostra vita?
Quali sono i metodi più consoni per dimostrare la nostra fede senza tatuarci la scritta in fronte “io sono cristiano”?

Creativity

Pubblicato: 2011-10-05 in Teenager - Cose a Caso

Cracking Art Group

Nella mia testa comincia a farsi spazio il bisogno di nuove esperienze di conoscenza ed ho così deciso di sfruttare l’anno della chimica e i vari incontri e convegni come una sfida culturale per arricchire la mia conoscenza. Sono ufficialmente diventata una cacciatrice di convegni, a cui si aggiunge la sfrenata voglia di conoscere opere d’arte, musei e castelli, che è garantita economicamente da una fantastica tessera musei acquistata al modico prezzo di 10 euro (un altro dei motivi per amare l’università).
Ieri ho trovato una “vittima”: convegno “Plastica ed Arte” al centro convegni che c’è dietro la GAM a Torino.
Ho ascoltato tre imprenditori con la loro esperienza lavorativa e il loro mondo dell’industria, ma soprattutto ho avuto la possibilità di conoscere 3 artisti e di sentire il loro balbettare nel cercare di spiegare quali fossero le loro opere e le loro esperienze; mi è sembrato di chiedere a un cieco di descrivere i colori. Un artista è tale perché sa esprimere in modo personale una propria emozione, che non si può spiegare con parole, o almeno, quello è ciò che sanno fare gli scrittori, ma per un pittore descrivere a voce ciò che ha tirato fuori sulla tela è molto difficoltoso, lo possiamo capire solo con i nostri occhi e con le emozioni che proviamo! Certo le reazioni saranno diverse ma è uno stimolo a pensare.

La creatività non è altro che una forza spingente verso il pensiero. È una cosa che la realtà di oggi fa fatica a capire e a provare perché nessuno ha più voglia di pensare.
Per la gente è più comodo piangersi addosso, urlare, spaccare tutto, andare a correre, fare mille altre cose piuttosto che pensare!

“Abbiamo imparato dai nostri errori; e siamo rimasti lì a rimediare, curare, aggiustare e potare. Perché tutti possono sbagliare, si dovrebbe insegnare a tutti a cercare l’occasione per rimediare agli errori.” – Il tesoro nel campo.

Questo dovrebbe essere il nostro modus operandi, prenderci cura di noi stessi e degli altri attraverso la nostra creatività: la voglia di pensare, di curare, di rimediare.
La creatività nasce nel momento in cui si genera qualcosa; quando noi trasformiamo la realtà che ci circonda e la rendiamo migliore creiamo in modo gratuito e doniamo a tutti qualcosa di forte e meraviglioso.
Dobbiamo muoverci, sperare e prendere il nostro posto nel mondo, andare alla ricerca delle opportunità e nell’onestà crearci un futuro vivibile, creare un benessere personale che non dimentichi i nostri fratelli, entrare in una mentalità che non è solo un carpe diem ma che richiede progettualità e fedeltà per continuare a…creare…generando nuova vita, una nuova vita che deve avere la medesima nostra possibilità di vivere felicemente i suoi anni sulla terra.

“Le mie preghiere rincorrono spesso la vita, rispondono a sollecitazioni e urgenze del momento. Niente di male, ovvio. Ma la preghiera non dovrebbe essere anche ESERCIZIO CREATIVO? Vorrei pregare per i desideri di Dio, non per le urgenze del momento ma per le cose importanti. Non solo per riparare le cose che non vanno, ma perché aumenti l’aspirazione alla santità. La preghiera sfida la rassegnazione. La preghiera ispira la TRASFORMAZIONE. ” – Il tesoro nel campo.

“Vi sentite flambè? Possiamo andare avanti?” – Prof. Tomasso

Se ora siete infuocati…cominciamo a vivere! Cominciamo a creare!